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venerdì 08 novembre 2024

LE PREGIATE PENNE — il Blog di Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi ha insegnato letteratura italiana all’ITAS “ Santoni” di Pisa fino alla pensione. Il suo esordio narrativo è stato nel 1975 con il romanzo "Testimone il vino" , ristampato nel 2023 sempre dalla Felici Editore, nel 1983 esce "Bailamme" (ristampato nel 2022 con Porto Seguro editore). Negli anni seguenti ha pubblicato come coautore “Le vie del meraviglioso” (Loescher,1966), “Il filo d’Arianna (ETS, 1999) e da solo “Cicli e tricicli” (ETS 2002), “Graaande …prof (ETS, 2005) e “Il baffo e la bestia” (ETS 2021), "Erotiche alchimie" (ETS,2024) e "La disgrazia di chiamarsi Lulù" (Felici Editore, 2024). Ha curato l’antologia “Cento di questi sogni” (MdS, 2016) ed è direttore editoriale della collana di narrativa “Incipit” (ETS)

Avallone e Casaltoli, due romanzi di formazione

di Pierantonio Pardi - lunedì 27 novembre 2023 ore 08:00

Due storie periferiche d’amore e di lotta narrate da due scrittrici, Silvia Avallone e Alessandra Casaltoli, in due avvincenti romanzi di formazione.

Una premessa necessaria: Silvia Avallone è nata a Biella nel 1984 , ma, ha sempre trascorso le estati della sua giovinezza a Piombino dove lavorava suo padre e dove ha ambientato “Acciaio” il suo primo romanzo. Questi due elementi la rendono “toscana” di fatto. L’altra autrice, Alessandra Casaltoli, è livornese doc e parlerò del suo romanzo “Non più notte”.

Apriamo quindi le danze con Acciaio

“Acciaio”, romanzo di Silvia Avallone, edito da Rizzoli nel 2010 è ambientato a Piombino, cittadina in provincia di Livorno, da cui partono i traghetti per la Sardegna e per l’isola d’Elba. In questa città, in via Stalingrado (nome di fantasia) vivono Anna e Francesca, due ragazze giovanissime di quattordici anni, in un enorme conglomerato di case popolari abitate da famiglie che, nella stragrande maggioranza dei casi, dipendono dall’acciaieria della zona (la Lucchini con il suo altoforno AFO 4). Il padre di Francesca così come il padre e il fratello di Anna sono impiegati nella fabbrica e le due ragazze, amiche per la pelle, si sentono gradualmente, ma inesorabilmente soffocate da quell’ambiente claustrofobico che sembra precludere loro ogni via di fuga. I loro giochi, infatti, e le loro uscite si svolgono sullo sfondo dei pianerottoli dove vivono, nei magazzini abbandonati delle fabbriche e al mare, sul bagnasciuga di Piombino dove le due amiche riescono finalmente a sentirsi a loro agio, lontane dagli occhi degli altri e, soprattutto Francesca, lontana da quelli di Enrico, il padre:

Enrico guardava sua figlia, era più forte di lui. Spiava Francesca dal balcone, dopo pranzo, quando non era di turno alla Lucchini. La seguiva, se la studiava attraverso le lenti del binocolo da pesca. Francesca sgambettava sul bagnasciuga con la sua amica Anna, si rincorrevano, si toccavano, si tiravano i capelli, e lui, lassù, fisso con il sigaro in mano, sudava.

Lui, gigantesco, con la canotta fradicia, l’occhio sbarrato, impregnato nella calura pazzesca.

Ecco come, con pochi tratti, Avallone presenta il padre di Francesca, cogliendolo in un atteggiamento quasi voyeuristico e comunque ossessivo verso cui non può niente neppure la moglie Rosa che si avviliva a vedere suo marito alle tre del pomeriggio con il binocolo in mano e, quando glielo faceva notare:

“ Controllo mia figlia, se permetti.”

Sostenere gli occhi di quella donna a volte non era facile neppure per lui. C’era un’accusa costante, conficcata dentro le pupille di sua moglie.

Enrico increspò la fronte, deglutì: “ Mi sembra il minimo …”

“Sei ridicolo” sibilò lei.

Poche battute, per descrivere i rapporti dei genitori di Francesca, un padre ossessivo e geloso della figlia ed una madre, Rosa, operaia, che cerca, spesso, ma invano, di contrastarlo.

Diversa è invece la situazione nella famiglia di Anna, composta dalla madre Sandra anche lei operaia, dal fratello Alessio, operaio specializzato con due piccoli vizi: la droga e il furto. Completa questo quadretto il padre Arturo, un delinquente di bassa taglia con il vizio del gioco. Ed ecco come l’autrice ce lo presenta, dopo che l’uomo ha trascorso una nottata a giocare a poker, perdendo tutto:

Arturo era lì, affacciato, alle sei del mattino. Era solo. Si appoggiava al muretto del porticciolo. Si tastava il polso, cercava il Rolex che non c’era più. Gli occhi gonfi e la bocca impastata di nicotina. Si meravigliò del suo portafogli: ieri c’erano due milioni, adesso ci sono diecimilacinquecento lire in monete e pezzi da mille. Come è possibile? In una notte. Me lo sono bruciato tutto in una notte. Cazzo, era l’ultimo stipendio.

Francesca ed Anna, comunque sembrano appena sfiorate dai loro contesti familiari, coltivano illusioni e sogni e ignorano la loro coetanea Lisa che le invidia e nutre un complesso di inferiorità nei loro confronti, in quanto più brutta e per lo più sempre occupata dietro a sua sorella Donata, disabile e su una sedia a rotelle. Lisa cova nell’animo un rancore sordo nei confronti delle due amiche:

Anna e Francesca te lo sbattevano in faccia che erano belle. Dovevano sempre, ogni sacrosanto minuto, dimostrarti che erano meglio di te, che loro avevano vinto, a priori, per sempre. Lisa realizzava che lei, in mezzo ai maschi, al centro della loro attenzione, non ci sarebbe mai stata. Si rinserrava dietro il suo atteggiamento, con il mazzo di carte in mano. Sibilava: “Sono due puttane.”

Poi, però, qualcosa tra Anna e Francesca inizia ad incrinarsi e a mettere in crisi il loro sodalizio. Sarà proprio la scelta della scuola l’elemento divisivo: Anna si iscriverà al ginnasio, mentre Francesca frequenterà l’Istituto professionale; queste due scelte sono state in parte pilotate dalle famiglie. Perché, Sandra, la madre di Anna, che comunque è intelligente e studiosa, vuole per sua figlia un futuro da laureata, mentre nella famiglia di Francesca, nessuno la motiva e lei, che non riesce a vedere oltre il proprio mondo sceglie appunto, senza nessun entusiasmo, l’Istituto professionale.

Un altro fattore che determinerà un progressivo allontanamento tra le due, sarà la scoperta dei primi amori.

Anna inizierà ad interessarsi ai ragazzi, mentre Francesca continua ad idolatrare l’amica, sentendosi sempre di più attratta da lei.

Non era tipo da combattere, lei. Non ci teneva a conquistare il mondo come Anna. Lei non era Anna. Era diversa dalle ragazze del quartiere, dalle ragazze in generale. E si era arresa da sempre, già dalla prima elementare. Lei questo mondo non lo amava. Però amava Anna.

Anna, dopo il bacio fugace che, una sera, quando erano sole, le ha dato Francesca, è spaventata da lei e quindi la evita; questo distacco è traumatico per Francesca e l’amicizia con Anna entra, almeno provvisoriamente, in crisi.

Anna, intanto, dopo ii primi flirt con i coetanei Massimo e Nino, che è innamorato di Francesca, ma è stato rifiutato da lei che gli ha confessato sinceramente di non essere interessata ai maschi si innamora di Mattia, un amico del fratello e anche lui operaio alla Lucchini.

Anna vede per la prima volta Mattia che era stato invitato a pranzo da Alessio, suo fratello e rimane subito turbata dal ragazzo.

Lentamente realizzava quanto quel ragazzo fosse bello. E forte e adulto e sicuro di sé. Il volto bruno con la mascella squadrata e gli zigomi alti, sembrava scolpito nel marmo. Aveva qualcosa di prepotente negli occhi. E qualcosa di invitante nelle labbra un po’ femminili. Le mani nodose e grandi non gesticolavano come quelle dei ragazzi nervosi. Doveva essere alto un metro e novanta. Spalle come se avesse trasportato l’intero pianeta per giorni.

Insomma un “Atlante” che le provoca un immediato colpo di fulmine. Francesca, ormai definitivamente esclusa dall’amico, per rivalsa si legherà a Lisa che accetterà volentieri il ruolo di surrogato.

E intanto anche nel mondo degli adulti avvengono dei cambiamenti significativi: Rosa, la madre di Francesca, non sopporta più l’atteggiamento da padre padrone di suo marito e vorrebbe denunciarlo, Sandra, la madre di Anna, vorrebbe lasciare Arturo, licenziato dalla Lucchini e coinvolto in giri loschi e Alessio che vive una forte dicotomia tra le sue attitudini criminali e la coscienza di classe dell’operaio metalmeccanico, frustrato anche sul piano sentimentale perché la sua prima fidanzata Elena è diventata una dirigente della Lucchini e quindi il divario sociale tra i due, gli appare ormai incolmabile.

Poi gli eventi iniziano a precipitare; Anna, mentre suo padre è ricercato per furto di opere d’arte, si getta nello studio e continua la relazione con Mattia, Francesca si ritrova ad accudire suo padre rimasto psichicamente menomato a causa di un incidente sul lavoro e non più autosufficiente.

Poi Francesca trova lavoro come ballerina di Lap dance al Gilda, un locale di tendenza frequentato dai giovani ed è sempre più disinteressata rispetto all’universo maschile e quasi contemporaneamente Anna entra in crisi con Mattia con cui si è accorta di non avere nessun tipo di affinità.

Poi la tragedia: Alessio sta andando a trovare Mattia e nel frattempo sta telefonando ad Elena, che è sul traghetto per l’Elba, ma durante la telefonata Elena sente un rumore sordo, secco e la linea si interrompe. E’ una sequenza drammatica che Avallone mette in bocca ad Elena e così la descrive in queste righe:

Qualcosa come un rumore. Ma non un rumore identificabile. Non una voce. Un tonfo. Un errore. Ecco. Una specie di interferenza … Ale, pronto … Alessio? Alessio? Pronto? Pronto? Pronto?

Ma Alessio, purtroppo, non potrà più rispondere perché, accucciato per telefonare,

non si era accorto del cingolato guidato da Mattia che, pensando ad Anna, si era completamente distratto e schiaccia involontariamente l’amico. E’ una sequenza drammatica:

Mattia avvertì qualcosa di duro e voluminoso sotto il cingolato che lo costrinse a incepparsi. Non capì immediatamente. Spense il motore solo dopo qualche istante. Scese dal mulo, intontito dal caldo. Stava per incazzarsi, quando vide un rigagnolo rosso serpeggiare sotto i cingoli.

Sotto il cingolato purtroppo c’era il corpo di Alessio.

Passano i mesi e finalmente anche Francesca e Anna si riconcilieranno e decideranno di festeggiare la fine delle ostilità andando al mare all’isola d’Elba.

Adesso partivano. Andavano a nuotare all’Elba. Come i tedeschi, come i turisti di Milano e di Firenze. Di sicuro anche lì c’era una piazza con la chiesa, il campanile e tutto il resto. Sorridevano, non si dicevano niente. E una aveva la bocca impastata di dentifricio , l’altra le labbra dischiuse e un poco screpolate. Combaciavano perfettamente.

A soli ventisei anni Silvia Avallone ha scritto un romanzo feroce e intenso mettendo in scena un sistema di personaggi del proletariato periferico di una cittadina industriale con i loro drammi, le loro contraddizioni e le loro aspirazioni. E in questo contesto si sviluppa l’amicizia di due ragazzine che dall’infanzia passano all’adolescenza, fino alla scoperta improvvisa ed imprevista dell’amore.

Poi un giorno arriva l’amore, però arriva male, le poche certezze vanno in frantumi e anche l’amicizia invincibile tra Francesca e Anna si incrina, sanguina, comincia a far male. Attraverso gli occhi di due ragazzine che diventano grandi, Silvia Avallone ci racconta un’Italia in cerca di identità e di voce, apre uno sguardo su un’inedita identità operaia nel tempo in cui, si dice, la classe operaia non esiste più. E lo fa con un romanzo potente, che sorprende e non si dimentica. (Dalla quarta di copertina)

Molte le affinità tra questo romanzo e “L’amica geniale” di Elena Ferrante che, ambientata in un rione popolare di Napoli, racconta l’amicizia e il progressivo percorso di formazione di due amiche, Elena (Lenù) e Raffaella (Lila), speculari, anche se molto diversi da quelli di Anna e Francesca.

Silvia Avallone è nata a Biella nel 1984 e vive a Bologna, dove si è laureata in Filosofia e specializzata in Lettere. Con Acciaio, tradotto in 25 lingue e diventato un film, ha vinto numerosi premi, tra i quali il Campiello Opera Prima, ed è stata finalista al premio Strega 2010. Con “Un’amicizia”, ha vinto i premi Benedetto Croce, Cimitile e Viadana. In BUR sono disponibili anche Acciaio, “Da dove la vita è perfetta” e “Marina Bellezza”.

Da questo romanzo è stato tratto il film “Acciaio” diretto da Stefano Mordini nel 2012.

E se Piombino è la cornice geografica di “Acciaio”, Livorno è quella di questo romanzo di Alessandra Casaltoli, che presenta molte analogie con il romanzo della Avallone.

_______________

ALESSANDRA CASALTOLI

Non più notte

C’è una poesia di Alda Merini che sintetizza in modo sublime questo romanzo e quindi, fedelmente, la trascrivo:

Io vorrei, superato ogni tremore

giungere alla bellezza che mi incalza,

dalla rovina del silenzio, fonda,

togliere la misura della voce

e cantare all’unisono coi suoni;

stamparmi nelle palme ogni vigore

in crescita perenne e modulare

un attento confine con le cose

ov’io possa con esse colloquiare

difesa sempre da incipienti caos.

Ecco, sono proprio gli incipienti caos quelli che Alba, la protagonista di questo romanzo ci racconta in modo diacronico perché attraversano la sua vita, perché ci deve combattere.

Lei né carne, né pesce, né acqua, né fuoco, né cielo né terra. Lei che si definisce come un’antitesi monca perché deve trovare l’altro elemento, quello che la toglierà dalla notte dell’indeterminatezza.

Ma voliamo su terreni più semplici, altrimenti il lettore, letto questo incipit, butterà via il libro con grave danno dell’autrice e del suo recensore…

Quello di Alessandra è, a tutti gli effetti, un romanzo di formazione, quelli, per intenderci che scrivevano Dickens e Mark Twayn, ma Alba, non vive in una città claustrofobica e spettrale come la Londra di David Copperfield e non ha la divertente incoscienza di Tom Sawyer.

Alba Porpora ci ricorda, parlando della sua infanzia, i ragazzi della via Pall, raccontati da Molnàr dove lei è l’undicesimo maschio in un’infanzia chiusa in una bolla di tempo in cui si muore sempre e non si muore mai.

Ed è fin dalle prime pagine che l’autrice ci presenta Alba in pieno conflitto con il capo branco dei maschietti, Simone, fratello della sua cara amica Serena:

Lui è arrogante, cattivo. Lui è più grande. E’ un maschio, è forte. Io sono più piccola, sono una femmina. Ma non una “femminuccia”. Sono arrabbiata e ho paura e più ho paura più lo odio. Più ho paura, più voglio dimostrare di non averla. Devo sconfiggerlo. E non mi sposto

Alba non vuole sentirsi umiliata come quando prende i ceffoni dal padre e non vuole darsi per vinta come fa sua madre con il marito e allora prende un sasso e lo scaglia contro Simone, lo colpisce e gli spacca un sopracciglio

Alba è una ragazzina che vive nei quartieri bene di Livorno (a differenza di Francesca e Anna, le protagoniste di “Acciaio”) contrapposti ai rioni popolari ed avverte, fin da piccola, il senso di questa dicotomia classista. Sua madre, infatti, proveniva dai rioni popolari ed insegnava nelle scuole del rione Educazione tecnica e i suoi nonni abitavano nelle case dei ferrovieri e nei cortili di quelle case Alba ha imparato a giocare con gli altri bambini

E’ lì che mi sbucciavo le ginocchia e ci sputavo sopra per disinfettare. Nel cortile del rione, non nel cortile del quartiere.

Perché nel quartiere

Erano palazzi silenziosi con cortili silenziosi e terrazze – giardino sa cui la mattina si affacciavano silenziose domestiche a tirare fuori lenzuola, tappeti, cuscini, da sbattere silenziosamente.

Chiasso e silenzio, quindi; è in questo ossimoro sonoro che si sviluppa l’infanzia di Alba che preferisce alla grande il chiasso e la casa dei nonni sempre piena di gente contrapposta a quella dei genitori, silenziosa e popolata solo da loro tre, ma spesso solo da lei e dalla madre perché il padre è quasi sempre fuori per lavoro. Ed ecco come Alba descrive il rione:

Il rione erano donne con le mani sciupate e braccia sui fianchi. Donne che la mattina si erano affacciate silenziose dalle finestre del quartiere a tirare fuori lenzuola, tappeti, cuscini, da sbattere silenziosamente, che il pomeriggio tornavano in periferia, parlavano a voce alta e si chiamavano dalla finestra.

Il rione era gatti randagi, strade periferiche con bordi di rovi, era giocare da soli dalla mattina alla sera, era maschi contro femmine, era imparare a fare i salti con la bicicletta. Era le liti di quelle che la pensavano come la Nardoni e di quelle che la pensavano come mia nonna, quelle che i bambini fanno troppo rumore e quelle che purtroppo il tempo passa in fretta, non staranno per sempre lì a giocare. Quello era il rione. Voci di bambini che giocano, polvere di strade non ancora asfaltate che si perdono tra i campi e libertà. E tanti amici.

Questa dicotomia quartiere/rione continuerà a perseguitarla anche quando farà la sua prima esperienza sentimentale con Matteo, un ragazzo che proviene dai rioni

Matteo veniva da un rione ma aveva la faccia di uno dei quartieri. Solo la faccia però. La stoffa ce l’aveva da tosto. Quel temperamento tipico di chi capisce presto come funziona vivere, ma che non si fa abbrutire, né abbattere. Matteo ambizioso ma mai pavone. Uno che sapeva stare al suo posto, un animale da branco.

Ma la madre di Matteo vedeva in Alba solo la figlia di un professionista ignorando però che anche sua madre veniva dai rioni. La madre di Matteo diffida di Ambra perché vede in lei tutto ciò che avrebbe desiderato per il figlio e che non potrà mai permettersi; insomma, la classica diffidenza classista.

Alba fa l’ultimo anno di scuola ad Acquapendente e lì, sempre in virtù del suo carattere tellurico, combina una scherzo, facendo ammutinare tutta la classe e facendola scappare giù da una portafinestra del primo piano, tutti aggrappati agli zaini e avendo imbavagliato negli armadi a muro renitenti alla burla. Grande ramanzina del Preside, ipocrita, un “pavone tronfio e indisponente” che così la apostrofa:

Lei signorina Porpora mi mette in una posizione molto scomoda di fronte all’opinione dei suoi compagni, di tutto il corpo docenti, nonché della sua famiglia con cui ho l’onore e il privilegio di intrattenere rapporti di collaborazione e fiducia da molto prima che lei ci venisse affidata come scolara».

Ma i ricordi di scuola di Alba toccano l’apice della comicità nella descrizione del prof. di storia e filosofia, Luperini, più zitello che scapolo, di certo non per scelta. Ecco come si rivolgeva alla classe:

Voi siete solo braccia strappate all’agricoltura. La vostra fortuna è di essere nati nel benessere. Io per studiare ho dovuto lottare. Io provengo dalla classe operaia, dal proletariato. Io non ho potuto scegliere. Dopo una laurea a pieni voti sono capitato qua, io, tra rape e carciofi. Eccole lì, le rape, voi femmine. Vi troverete bene nella vita scegliendo a chi darla mentre voi, carciofi, non potete sperare neppure in questo.

Un prof. davvero all’avanguardia, non c’è che dire. Alba è consapevole che Luperini la odia perché vede in lei la figlia di un professionista ricco.

Vedeva in me giorni che non aveva avuto. Giorni che avrebbe voluto e che aveva reclamato da dietro a slogan imparati sfilando, marciando in un gregge di eskimo e tascapani, pochi anni prima che noi gli sedessimo davanti tra quei banchi.

Alba ha una madre - menzogna, succube del marito, che ha imparato a mentire e le vuole insegnare l’ipocrisia e un padre ondivago, ora tenero ora crudele, ma lei non vuole somigliare a nessuno dei due. E quando suo padre la picchia, lei si ribella e gli rinfaccia la sua vigliaccheria:

Era la prova che volevo avere di non essere come mia madre, la donna-menzogna che per essere libera dice sempre sì e poi si nasconde per strappare bricioli di una dignità che lei stessa si nega, per educazione, per cultura, che lei stessa, probabilmente, non ritiene di meritare.

E le cose non cambiano quando si trova a parlare del padre

Mio padre mi picchiava sul viso. Sberle o ceffoni, le chiamava lui. Solo a sentirmele promettere mi veniva paura. Paura per il dolore perché le sue mani dure mi lasciavano il livido per dei giorni, un livido largo che prendeva tutta la guancia, dalla bocca all’orecchio. Avevo paura di vergognarmi. Quando le prendevo me la facevo addosso. Se mia madre si azzardava a mettersi di mezzo o a commentare, ce n’erano anche per lei. La ragazza del rione che aveva voluto sposare uno del quartiere. Lui si faceva forte di questo, si sentiva in diritto di sottometterla per questo. E lei non diceva niente. Lo subiva, lo giustificava, perché credeva davvero che una ragazza dei rioni valesse meno di una ragazza dei quartieri. Ed era certa che una donna valesse meno di un uomo.

Alba ha un nonno, l’onnipotente Galdo, che è la reincarnazione dei Mazzarò e dei Mastro Don Gesualdo di verghiana memoria; un uomo cinico, opportunista, che dal niente ha creato un Impero e che tiene i fili della sua famiglia come un burattinaio sadico, crudele e mefistofelico.

Nonno Galdo era stato fascista, quando gli era sembrato che il fascismo fosse un’opportunità da non perdere per emanciparsi dalla condizione di povertà ed emarginazione in cui era cresciuto. Era stato fascista quando gli era sembrato che il fascismo desse a lui, figlio di un idealista ribelle, la possibilità di riscattare tutti gli sbagli del padre e avere finalmente un posto all’interno di una società che, per tanti, fino ad allora, non aveva permesso penetrazioni o scalate. Era stato fascista fino a che gli aveva fatto comodo.

Poi fece il partigiano, per salvare la pelle e non morire di fame. E diventò comunista, perché era abile a parlare in un momento in cui il comunismo gli offriva le parole adatte per convincere la gente ad ascoltarlo. E poi, dopo, fu anche democristiano, quando si accorse che era in quella direzione che aveva girato il vento.

Ho voluto riportare queste descrizioni per due motivi; il primo è dettato dal fatto che padre, madre e nonno sono personaggi che rivestono un ruolo decisamente importante nella formazione del carattere di Alba, il secondo per evidenziare lo stile narrativo di Casaltoli, molto simile per certi aspetti a quello di Avallone.

Una scrittura rapida, paratattica, visiva. Nessuna concessione ai fronzoli e alla retorica; la capacità di entrare dentro il singolo personaggio e analizzarne la psicologia.

In un contesto genitoriale come quello che ho precedentemente descritto Alba farà le sue prime esperienze sentimentali, erotiche e politiche in un’epoca in cui la Storia si manifesta con la nube tossica di Chernobyl, il dramma di Alfredino caduto nel pozzo a Vermicino , i mondiali di calcio in Spagna…insomma gli anni ’80 o giù di lì.

E poi ci sono Niva, la compagna rivoluzionaria, L’Università, il docente bolscevico, il terrorismo che aleggia nell’aria, la difficoltà di diventare adulti, le crisi di coscienza e di identità, la scoperta del vero amore che si chiama Matteo e finalmente il lavoro da insegnante e l’abisso incomprensibile in cui precipita con un amante goffo da cui si sente inspiegabilmente attratta.

…insomma gli incipienti caos.

Sono tanti gli ingredienti di questo romanzo che Alessandra ci racconta usando a volte la tecnica del flusso di coscienza, a volte quella del monologo interiore, ma riuscendo sempre e comunque ad evadere dal suo ruolo di narratore interno per fare spaziare il lettore su percorsi altri, per sottoporgli delle domande come in una sorta di dialogo ininterrotto e intimista che mette a nudo in modo a volte crudele i labirinti più inesplorati della coscienza.

Ci sono tanti ricordi di un’infanzia agrodolce, flash bucolici su nonne e zie, spaccati di vita contadina ai tempi della guerra, filtrati dai ricordi dei vecchi, in una oleografia che profuma le pagine, le faide rossi e neri, le feste dell’Unità, e ancora il G8 di Genova e l’invasione del Kuwait…

Ma soprattutto c’è la forte determinazione di Alba che la porta a scegliere di essere non una donna sineddoche, non una donna - figura retorica, ma una donna vera e questo percorso riuscirà a realizzarlo demolendo in modo sistematico i “miti” della madre, del padre, del nonno, del marito, dell’amante, sottoponendoli quasi ad un esame autoptico che svelerà in modo impietoso le tante menzogne e le poche, flebili verità che la porteranno infine non tanto nella luce abbagliante del giorno, ma in quella, forse meno esaltante, ma certo più vera di quella che lei definisce appunto non più notte.

Molte, come avevo anticipato le analogie tra questo romanzo e Acciaio: simili le descrizioni degli ambienti popolari e grandi affinità nelle descrizioni degli ambienti familiari e delle loro dinamiche esistenziali.

Alessandra Casaltoli è nata a Livorno nel 1975. Ha pubblicato la raccolta di racconti “Con immutato affetto” (Albalibri,2009).

Nel 2011 ha partecipato alla Bottega di Narrazione presso l’editore Laurana con Giulio Mozzi e Gabriele Dadati. Questo è il suo primo romanzo.

Pierantonio Pardi

Articoli dal Blog “Le pregiate penne” di Pierantonio Pardi