Il telefono del vento
di Marco Celati - martedì 27 febbraio 2024 ore 08:00
a Marco Vanni
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Siete qui: in questo luogo
di presenza assenza,
tutti ci siete e tutti mancate
miei cari, amici miei
e mi chiedo se il tempo esista,
se sia un termine o un altrove,
se la vita comprenda la morte
o viceversa,
se tutti vediamo
con gli occhi degli stolti
per cui ci parve
di vedere che moriste.
Qui siete e qui mancate,
ma nessun nome manca.
Qui e ora, nessuna risposta
è data, ma è lecita
ogni domanda:
al vento l’affido
che turbina e rapina,
che porta le nuvole
e gli uccelli in volo
e piega le erbe
lungo la collina.
Questa poesia l’ho scritta dopo essere stato al Telefono del Vento, davanti a Santo Pietro Belvedere, dove il belvedere delle colline della Valdera in effetti non manca. Tutto è fonte d’ispirazione. Ogni cosa. Il Telefono si trova sopra il Cimitero del paese e la collocazione ha attinenza con il significato, anche se credo sia stata più casuale che voluta. Ma il caso -in ogni caso- ha a che vedere con le cose della vita e quindi tutto torna. Si prende su per la salita, un po’ di affanno, il cuore è uno strumento scordato, e in poco tempo si arriva sulla sommità della collina. Lassù svetta, improbabile e surreale, una cabina telefonica collegata a niente. In sintonia con tutto. C’è dentro un telefono senza fili che risponde al vento, se e come o quando il vento può rispondere. Su una mensola stanno alcune penne e due quadernetti dove le persone, i visitatori, gli utenti della linea del vento, annotano impressioni, saluti, poesie e ricordi, ricordi. Ci si rivolge ai cari scomparsi, agli affetti perduti, si lasciano pensieri al vento che se li porta via, come le biciclette non dirò chi. Ma, a differenza delle biciclette, i pensieri tornano e, anche se nessuno risponde, ci aiutano ad elaborare un lutto, una perdita, l’ansia che ci portiamo dentro. Chi può consolarci o perdonarci se non noi stessi? Le nostre memorie, da lasciare, ma non perdere, si rincorrono in un cerchio ininterrotto di presenza e assenza, come la vita e la morte. E ancora vita e ancora morte, e ancora, e ancora.
Quel Telefono l’ha installato Marco Vanni, un amico geniale che faceva, non so che faceva: organizzava eventi ed era anche bravo. Il “fotografo pazzo”, così lo chiamavo e ne ridevamo insieme. Non è stata una sua invenzione, ma suo è il coraggio e sua l’iniziativa: è il primo in Italia. Ne aveva letto in un bellissimo romanzo, “Quel che affidiamo al vento”, uscito nel 2020. L’autrice è Laura Imai Messina, una scrittrice italiana, residente a Tokyo, che racconta del primo Telefono del Vento, collocato sul fianco scosceso di Kujira-yama, la Montagna della Balena, nel giardino di Bell Gardia, sopra Ōtsuchi, all’indomani del violento terremoto e del terribile tsumani che l’11 marzo del 2011, devastarono il nord-est del Giappone. Tutti quei morti, migliaia, travolti, immersi anzitempo nel buio e così tanta gentilezza nel richiamare, attraverso quel Telefono, una loro silenziosa resilienza, una voce magica e reale di speranza. Amore, solo amore: è questo alla fine. Dal 2011 oltre 30 mila persone l’hanno visitato.
I versi che ho scritto attingono ad un passo del Vangelo e ad una poesia assai più bella della mia di Mario Luzi, tratta da “Sotto specie umana” del 1999.
Ades, sei qui/ nel bosco, nel silenzio,/ nel frastuono d'aria/ alto del mezzogiorno./ Ci sei intensamente,/ ci sei fino a tal punto/ da parere che tu manchi,/ occultato nell'istante,/ inabissato nel presente,/ unito così al mondo/ che ti prende/ tutto, fino all'annientamento,/ però ti regala il dove e il quando/ numine il sole; quasi/ lucertolescamente, oh hic, oh nunc.
Ci sei tanto intensamente da parere che manchi! Il senso è questo, mi pare, anche per il Telefono del Vento. Ho trascritto “Ades” nel quadernetto e la data era quella di San Valentino. Anche se è troppo commerciale e turistico dirlo, anche se pure quello non so quanto fosse casuale o voluto. Ma l’amore c’era e ci sarebbe e, oltre che per la storia e la politica, vale anche per l’esistenza l’eterogenesi dei fini. L’amore serve a vivere e perdonarsi. Siamo come Peter Pan, ragazzi volanti che perdono la propria ombra e qualcuno ce la deve ricucire sotto le suola. Forse per questo saliamo sulla collina. Dice Laura Imai Messina: “Moriamo tutti, indistintamente, perché siamo vissuti. Moriamo tutti, in fondo, di vita. Il Telefono del Vento è lì a ricordarlo”. E allora la poesia, non è saperci fare con le parole, non sono i miei versi; quelli di Luzi, sì. La vera poesia è la cabina telefonica sulla collina, sono le voci memori, affidate al vento.
Santo Pietro Belvedere, 14 Febbraio 2024
Marco Celati